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di Redazione
Evidenze da diffondere e implicazioni per la pratica
- Nell’identificazione della condizione di occhio secco possono essere impiegati vari test, ma gli optometristi conoscono quali siano le probabilità di avere un responso corretto da ognuno di essi?
- Un recente studio ha esaminato la letteratura scientifica per valutare le probabilità che un risultato positivo ai test per l'occhio secco indichi effettivamente la presenza di tale condizione oculare.
- Le probabilità di commettere errori sono elevate se si esegue un singolo test. I questionari risultano i meno affidabili, mentre la colorazione della superficie oculare anteriore è il metodo più affidabile.
- Una probabilità predittiva abbastanza elevata si ottiene con questionario + colorazione di cornea e congiuntiva + misura del tempo di rottura lacrimale, non importa se con fluoresceina o non invasivo.
La discussione su quali test siano maggiormente indicativi della sindrome, o condizione, dell’occhio secco è in corso da almeno tre decenni, durante i quali sono stati via via presentati sempre nuovi strumenti o tecniche che potessero dare un responso certo, senza peraltro arrivare a risultati conclusivi.
Molti dei test presentati sono indirizzati a trovare le cause dell’occhio secco. Pensiamo ad esempio al test di Schirmer e a quello del menisco lacrimale per la causa da scarsa produzione di lacrime, o alla meibografia per la causa da evaporazione. Se però ci riferiamo alla sola evidenza della condizione di occhio secco, come definito dal TFOS DEWS II (nel periodico workshop internazionale sulla metodologia diagnostica dell’occhio secco) senza preoccuparci della causa che lo ha provocato o che lo sostiene, allora i test possibili sono pochi e ben individuati.
Una batteria di test di questo tipo è stata indicata proprio dal TFOS DEWS II e comprende l’uso di questionari come il ben noto OSDI; la misura del tempo di rottura del film lacrimale (Tear Break Up Time, TBUT), eseguito con la fluoresceina (FBUT) o non invasivo, eseguito con il topografo o altri strumenti appositi (NIBUT); la misura dell’osmolarità e la valutazione dell’omeostasi della superfice oculare, ovvero della sua integrità, eseguita con fluoresceina o verde di lissamina. La presenza di sintomi (risultato positivo a questionario) più almeno un segno positivo nei test già menzionati è stato proposto dal DEWS II come criterio diagnostico sufficiente per individuare la sindrome dell’occhio secco.
Un articolo di Eric Papas su Contact Lens and Anterior Eye di ottobre cerca di valutare la probabilità che le diverse procedure proposte dal TFOS DEWS II possano indicare che una persona con un risultato positivo al questionario e ad uno dei test abbia effettivamente la sindrome dell’occhio secco. Questi dati saranno certamente utili ai professionisti per comprendere meglio l’efficacia delle loro procedure diagnostiche e a migliorare il servizio al paziente con problemi di occhio secco.
Diagnosi dell’occhio secco: quali test sono più accurati?
Una corposa revisione della letteratura ha portato l’autore ad analizzare vari studi nei quali sono stati utilizzati due questionari, l’OSDI e il dEQ-5, nonché i diversi test proposti dal DEWSII. Da tale analisi sono state calcolate le probabilità che un individuo abbia effettivamente la condizione di occhio secco quando presenta un test positivo. La probabilità è stata poi calcolata per la combinazione di più test, e per la combinazione sintomi + uno o più test positivi. Credo che i risultati sorprenderanno molti dei lettori.
Il test singolo più accurato è risultato essere la colorazione corneale (probabilità di una diagnosi corretta = 0,28), seguita dai test dell'osmolarità e della colorazione congiuntivale (entrambi 0,24). Se però la colorazione della superficie oculare viene considerata come un'unica procedura, in cui vengono valutate sia la colorazione congiuntivale che quella corneale, la probabilità sale a 0,49. La minore probabilità di avere un risultato affidabile (0,14) va al questionario OSDI. I due test per la misurazione del tempo di rottura lacrimale, non invasivo (NIBUT) e con fluoresceina (FBUT), presentano sostanzialmente la medesima capacità predittiva.
Notiamo come ogni singola procedura, misura dei sintomi o test, produca risultati errati nel maggior numero dei casi: la colorazione corneale nel 72%, che scende però al 51% se valutata insieme alla colorazione della congiuntiva, il questionario addirittura nell’86%! Tutto ciò accade perché i risultati dei test sono tipici anche di altre condizioni che non siano quella dell’occhio secco. Per i questionari, ad esempio, lo stesso autore ha dimostrato, in uno studio di due anni fa, come certi sintomi si sovrappongano ai disturbi della visione binoculare.
Se passiamo al criterio proposto dal DEWS II abbiamo che la combinazione OSDI + tempo di rottura lacrimale ha una probabilità di solo 0,23 di essere corretta. La migliore combinazione, con una probabilità di 0,42, è fornita dal questionario sull'occhio secco a 5 elementi (DEQ-5) insieme alla colorazione corneale. Se alla colorazione corneale aggiungiamo anche la colorazione congiuntivale la probabilità sale a 0,65. Questa combinazione è interessante anche se rimane il 35% di possibilità di sbagliare.
La probabilità di una diagnosi corretta aumenta con il numero di test positivi, fino a un massimo di 0,90 quando tutti i test sono positivi: DEQ-5, colorazione congiuntivale e corneale, osmolarità e TBUT. Per quanto riguarda l’attività optometrica di base in Italia, togliendo la misura dell’osmolarità, poco praticata da noi, abbiamo una probabilità predittiva di 0,77 con tutti i test positivi, che non è poco (una probabilità di errore del 23%).
La conclusione che emerge chiaramente è che è fondamentale procedere con cautela nell'utilizzo dei test. Affidarsi a un singolo test comporta un'elevata probabilità di errore. Un esempio chiaro è quello dei questionari, assolutamente inaffidabili se presi da soli. Integrare il risultato del questionario con la colorazione della superfice oculare e il tempo di rottura del film lacrimale sembra una buona base di partenza.
Concludiamo dicendo che una volta che i soggetti siano stati “segnalati” dalla procedura, il professionista potrà integrare la valutazione con altri test secondari che riguardano la struttura del film precorneale, l’apertura palpebrale, l’ammiccamento, ecc. Potrà in tal modo ottimizzare la valutazione della condizione e dare il proprio supporto per il miglioramento della qualità della vita della persona.