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di Carlo Falleni
Evidenze da diffondere e implicazioni per la pratica
- I miti sono duri a morire. Così ancora oggi c’è chi crede che la fluoresceina debba essere usata soltanto per controllare l’adattamento delle lenti rigide.
- Ma non è proprio così, anzi! È nel controllo oggettivo dell’adattamento alle lenti morbide che la fuoresceina gioca un ruolo dominante e irrinunciabile.
- Comunque, si discute ancora su come avviene la colorazione dell’epitelio corneale, se sia data solo dal film lacrimale o se siano coinvolti anche i corpi cellulari.
- L’analisi di alcuni lavori scientifici può aiutarci a capire meglio l’argomento, e guidarci nella valutazione dell’adattamento alle lenti a contatto morbide.
L’impiego della fluoresceina per identificare le alterazioni della superficie oculare risale alla fine del 1800. Nei decenni ‘60 e ’70 del secolo scorso il funzionamento e gli impieghi in oftalmologia e in optometria (soprattutto per le lenti a contatto) dei vari coloranti vitali sono stati studiati e chiariti da numerosi ricercatori. Ancora oggi, nell’epoca delle diagnosi e delle valutazioni effettuate automaticamente dagli strumenti elettronici, appare indispensabile, soprattutto in contattologia, l’impiego di coloranti come la fluoresceina ed il verde di lissamina, disponibili sotto forma di piccole strisce di carta impregnate di colorante.
Considerando il loro impiego per la valutazione dello stato di salute della superficie oculare, è sorprendente che non siano ancora definitivamente chiariti i meccanismi biochimici dell’assorbimento dei coloranti, e di conseguenza il significato clinico del cosiddetto staining. Perché l’epitelio sano non si colora? E perché si colora invece l’epitelio alterato? Proviamo a dare delle risposte, facendoci aiutare dal lavoro di Bron et al, uscito nel 2015 su “Progress in Retinal and Eye Research”.
Colorazione clinica della superficie oculare: meccanismi ed interpretazioni.
Le cellule che costituiscono la porzione superficiale dell’epitelio corneale sono per la maggior parte strettamente connesse le une alle altre dalle tight junctions (significa giunzioni strette), una sorta di saldatura continua fra le membrane cellulari delle cellule adiacenti, che circondano ogni cellula e chiudono tutti gli spazi intercellulari. Tale caratteristica è alla base della importante funzione barriera svolta dall’epitelio corneale nei confronti dell’ambiente esterno. Finché intatta, questa barriera protegge anche dall’aggressione batterica. Oltre alle tight junctions, la membrana plasmatica e il glicocalice, uno strato idrofilico che riveste la superficie cellulare, contribuiscono a impedire che il colorante entri nella matrice della cellula.
La spiegazione tradizionale dello staining è che esso si presenta a carico degli spazi in cui le cellule dell’epitelio corneale sono assenti, per danno meccanico oppure per normale ciclo vitale, caratterizzato dalla esfoliazione delle cellule vecchie e dalla successiva sostituzione con quelle giovani. Lo spazio vuoto che si produce accoglie un maggiore volume e spessore di film lacrimale che presenta così una maggiore fluorescenza rispetto alle zone adiacenti e con spessore normale. Ciò lo rende osservabile attraverso i microscopi delle lampade a fessura normalmente impiegati in contattologia.
Eppure, secondo le ricerche condotte da altri autori1,2, l’irrigazione della superficie oculare con soluzione isotonica non produce la riduzione della fluorescenza delle zone interessate dallo staining. Questo ci porta inevitabilmente a considerare che la spiegazione tradizionale non sia propriamente esatta, o almeno che non sia la sola. Sembrerebbe infatti che il fenomeno osservato non sia necessariamente spessore-dipendente e che la fluorescenza possa essere attribuita anche all’assorbimento del colorante, che è entrato negli spazi intercellulari per effetto della perdita di tight junction oppure all’interno delle stesse cellule, attraversando porzioni di membrane cellulari danneggiate o alterate, o da un glicocalice maldistribuito, specialmente nelle cellule che sono alla fine del loro ciclo vitale e stanno per esfoliare. Questa ipotesi è confermata da alcune osservazioni effettuate con microscopia confocale3.
È abbastanza comune trovare cornee normali che mostrano uno staining di qualche grado (in genere lieve e superficiale) che potrebbe essere attribuito ad un fenomeno naturale di invecchiamento cellulare (le cellule della superficie dell’epitelio corneale sono tutte ricambiate nell’arco di circa una settimana) e alla perdita di efficacia del glicocalice. A questo proposito ricordiamo, di passaggio, che conviene sempre verificare se vi sia una colorazione corneale prima dell’applicazione ad un nuovo paziente, per non pensare, dopo, che la colorazione sia dovuta alla lente a contatto.
Quando la colorazione indica una anomalia del tessuto come nel caso dell’occhio secco, l’assorbimento dei coloranti è probabilmente da attribuire alla alterazione della permeabilità delle membrane cellulari delle stesse cellule epiteliali o, ancora una volta, alla presenza di giunzioni cellulari non così strette e continue come in un occhio sano. L’interpretazione della colorazione, corneale o congiuntivale, può essere migliorata cercando di misurarla, classificandola con le apposite grading scale (scale di classificazione), che mostrano varie immagini di colorazioni possibili, con gravità diverse per aspetto, diffusione, profondità, ecc. Questo è uno strumento da ritenere indispensabile per il professionista contattologo.
In ogni caso, l’uso della fluoresceina per il controllo della superficie oculare è obbligatorio nella contattologia moderna; ci aiuta a capire gli effetti della lente a contatto sull’omeostasi corneale e congiuntivale e a prendere decisioni consapevoli per il benessere dei nostri portatori. E anche del nostro.